A certain form of heaven project



di Isabella Falbo



«Art doesn’t have to be ugly to look clever»

Patrick Mimran



Può l’arte tornare ad essere un piacere per gli occhi e la mente, un rifugio di sogno e di immaginazione,  una certa forma di paradiso? A certain form of heaven nasce e si sviluppa riflettendo sul messaggio lanciato dall’artista Patrick Mimran “L’Arte non deve essere brutta per sembrare intelligente”, in occasione dell’ultima Biennale di Venezia e risponde, in maniera sintomatica, alla progressiva mancanza del “bello”, oggi misconosciuto, occultato e irriconoscibile, nella produzione artistica contemporanea.


L’attacco che l’arte, già dalle avanguardie, ha portato alla nozione di bellezza, sembra abbia lacerato gravemente il nostro orizzonte estetico che appare oggi attraversato da elementi contradditori e conflittuali.

Se tanta arte contemporanea si fonda su assunzioni antiestetiche e gioca con le emozioni negative rappresentando il mondo attraverso toni di cupo realismo, A certain form of heaven propone una selezione di opere create ad hoc, dove la bellezza nella sua natura complessa ed enigmatica, viene sviluppata all’interno delle poetiche di 12 artisti italiani, assumendo di volta in volta paradigmatiche accezioni diverse. 


Attraverso linguaggi diversificati che spaziano dal video alla fotografia, dalla performance alla pittura, la bellezza prende corpo colta tra le pieghe del qui ed ora schizofrenico e confuso.

In A certain form of heaven/Female troviamo la bellezza materiale narcisistica e seduttiva di Veronica Romitelli, la bellezza edonistica di Roberta Fanti, la bellezza individuata nell’entusiasmo delle pure emozioni positive di Roberta Conti, la bellezza come elemento indistruttibile della coscienza di Milena Sergi, la bellezza interiore vitale ed eterna di Cinzia Delnevo, la bellezza come forma di verità di Manuela Corti. 


La sezione A certain form of heaven/Male indaga la bellezza secondo gli equilibri intimi di Massimo Festi, Ettore Frani, Giorgio Bevignani, Giuseppe Rado, Cosimo Terlizzi e Giulio Macaione, proponendosi allo spettatore come un percorso attraverso la dimensione estetica dell’esperienza umana e conducendolo all’interno di soluzioni visive molteplici e imprevedibili.

Desideri complicati, situazioni conflittuali e realtà sconcertanti possono corrispondere a rappresentazioni di bellezze interessanti. Alcune bellezze sono nocive, distruttive, dolorose – Ettore F. di Ettore Frani - altre sono improprie – I breath for you di Giulio Macaione – altre ancora sono impossibili o sovrumane, come i volti e i corpi umani levigati e resi perfetti in From Pod to Pod di Giuseppe Rado.


Durante la modernità il mondo ha cominciato ad essere sempre più ostile alla bellezza, abbiamo assistito al tramonto del suo valore e al suo abbandono, perdendo così uno dei fondamenti essenziali della nostra cultura. Il Novecento, mettendo in discussione l’idea di opera d’arte proprio nella sua connessione con la bellezza ne ha avviata la sistematica demolizione di significato fino ad espellerla da ogni forma di creatività artistica. 


Se come diceva Dostoevskij “la bellezza salverà il mondo” oggi occorre salvare la bellezza dal mondo.


Troppa arte contemporanea è prigioniera di una sorta di “sentimento del brutto” dove volgarità e cattivo gusto traducono la sensibilità dell’artista nei confronti della nostra società e dove l’esaltazione della “forma brutta” rappresenta l’impossibilità di esprimerne un senso. Mentre mai come oggi l’arte ha raggiunto livelli così alti di bruttezza, nella nostra contemporaneità la bellezza avvilita e deformata appare come simulacro senza verità e di poca importanza, rispetto alle questioni che agitano la nostra società paradossalmente callocratica. 


Rifiutata dalla maggior parte degli artisti del mondo dell’arte, la bellezza in varie accezioni sembra invece trovare rifugio nel mondo della moda.


Ma che cosa è la bellezza? Concetto che ha accompagnato gli uomini lungo il cammino della civiltà fino all’epoca moderna, oggetto di desiderio e come tale oggetto universale dell’esperienza umana, tra i doni considerati ancora oggi più preziosi.

Come scriveva Baudelaire nel suo Inno “Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa, Beltà?” la bellezza è bipolare e viaggia su registri contrapposti. Può essere Satana o Dio, mostro o angelo, la bellezza si può riconoscere ed estrapolare anche dalle più cupe realtà che ci circondano.

 




«Bellezza é l'eternità che si contempla in uno specchio; e noi siamo l'eternità, e noi siamo lo specchio.»  

Kahlil Gibran, scrittore


Attraverso le tematiche della trasformazione e del travestitismo, nell’interazione tra forma visiva, forma verbale e performance, e’ la bellezza nella sua accezione fisica e materiale quella analizzata  da Veronica Romitelli nell’opera “Veronica si fa bella”.

12 fotografie rappresentanti il volto dell’artista, montate come immagini riflesse su specchi in plastica - feticci kitch che ci riportano all’ immaginario del mondo in rosa delle nostre barbies - documentano diverse fasi di una trasformazione.

Come Alice, l’artista passa attraverso lo specchio portando con sé la problematica della riflessione, non solo dell’immagine ma soprattutto del sé e della autocoscienza. Veronica si fa bella e nasconde con il trucco frammenti di sé, gioca con le sue certezze, definisce la sua nuova identità, attraente, affascinante e sicura. Attraverso un’azione performativa, Veronica fatta bella esce dallo specchio magico, maieutico, lacaniano, moltiplicato sulla parete della galleria come le pagine di un quaderno e ripete, secondo una ridodanza esasperata, la parola “bella” scritta col rossetto e coniugata in tutti i tempi del verbo essere. Azione di convincimento o presa di coscienza, ciò che importa è il raggiungimento della bellezza, inseguita nella nostra socetà come il primo dei valori.


« Avidamente allargo la mia mano: / dammi dolore cibo cotidiano.»

Salvatore Quasimodo, poeta


In una logica di “dolore edonistico” filtrato dalle sovrastrutture mentali contemporanee, Les pecheurs di Roberta Fanti appaiono come interpretazioni estetiche, patinate, glamour quasi come foto di moda, della punizione fisica che redime, concetto fondante della religione cattolica.


Attraverso forti rimandi alla storia dell’arte dove scene cristologiche di passioni e martìri infondono piacere più che repulsione - il bellissimo San Sebastiano del Mantegna o l’estasi di Santa Teresa del Bernini -  Roberta Fanti crea immagini di grande impatto visivo percorse dal sottilissimo confine tra spiritualità e piacere, dove corpi nudi, perfetti e incatenati si affiancano a interventi narrativi di preghiere in latino.

Atti di penitenza e di dolore, rappresentazioni della sofferenza come espiazione dei peccati, oppure visualizzazione di quelle pulsioni recondite, oscure, che facciamo fatica ad accettare? 

In linea con la dualità che abbiamo dentro dettata dalla schizofenia del nostro tempo, Les pecheurs giocano su un doppio livello di lettura, coppie antitetiche di significante -  passione/piacere, spiritualità/carnalità, sacro/profano, antico/moderno - all’interno delle quali lo spettatore, protagonista attivo di questo scenario, ha il compito di decidere dove finisce la penitenza ed inizia il piacere, quando alla sacralità della sofferenza sostituire la sacralità del piacere.


«Tende, la bellezza alla sfericità [ ] »

Maria Zambrano, scrittrice


Roberta Conti indagando sull’essenza della vera bellezza, la definisce come pura, positiva, intensa emozione, come energia capace di smuovere, la visualizza come un pieno contrapposto a un vuoto, il tondo contrapposto al piatto e la rappresenta attraverso un segno nero, sintetico e veloce che racchiude forme elementari riempite da colori caldi e vivaci. 

In “Non correte” l’artista coglie la bellezza nell’esplosione di gioia dei bambini che, finalmente liberi da regole e costrizioni, scendono le scale dopo il suono dell’ultima campanella di scuola. All’interno di una composizione a vortice, una valanga calda, impossibile da frenare, che precipita, come a conferma dell’affermazione “la bellezza porta dell’abisso”.

L’opera “Donnine” rappresenta la celebrazione della donna come simbolo in sé di bellezza, e a discapito dell’immaginario contemporaneo che l’ha trasformata in un secco involucro vuoto, come dichiara l’artista: “La donna veramente bella è piena, piena di sole e di linee curve, piena di calore, piena di sostanza, come una dea compie miracoli ovunque si trova e feconda le anime disperate.”


« HYPERLINK "http://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=215e" Il mistero della vita sta nella ricerca della bellezza.»

Billy Wilder, regista


Cosa si spera di far nascere in sé quando ci si apre alla bellezza o la si cerca attivamente? Nel video La ricerca, l’artista Cinzia Delnevo appare sorridente e nuda,  in piedi come una novella Venere nel momento della sua auto-creazione, rivolta allo spettatore nell’atto di mangiare una rosa, simbolo estetico per eccellenza. Attraverso la continuità tra l’oggetto ricercato e il soggetto che ricerca, l’immutata immagine del prima e dopo, la ricerca appare orientata verso un’accezione di bellezza interiore, vitale ed eterna.  

In una logica di miglioramento dell’io, non da intendere come perseguimento di un parametro estetico, omologante o meno, in questo video l’artista sviluppa l’idea di bellezza come conquista di un equilibrio ed armonia individuali, bellezza non come fine ma come strumento fra noi e il mondo.

Cinque fotografie, minimali e simboliche saranno esposte come scenografico complemento del video.


La bellezza salverà il mondo

Fjodor Dostoevskij, scrittore



Attraverso una tecnica dove l’iperrealismo si vela di astrazione attraverso un sistema di colature che lasciano la pittura al caso, Milena Sergi nel dittico Life/ Spirit of Life concentra la bellezza paradisiaca di uno spirito divino che dona la vita e il fascino di un corpo deformato per la gravidanza”, racchiudendone nella poetica le tre caratteristiche chiave: La bellezza è sacra, la bellezza è incomparabile, la bellezza è salvifica. 

Controcorrente all’iconografia del bello che caratterizza la cultura globalizzata del presente, “Life” rappresenta una donna nuda, incinta, che amorevolmente si accarezza la pancia, “Spirit of Life” la Madonna nell’atto di porgere un bambino, la figurazione è inondata di luce, talmente calda che sembra essere realizzata della stessa energia vitale. 

Come la stessa artista lo ha definito, Life/Spirit of Life è un’opera mistica, dove sogno, immaginazione e realtà si vanno ad intrecciare facendoci partecipi del miracolo della vita, del mistero della creazione.



« HYPERLINK "http://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=1e07" La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere.»

John Keats, poeta


Di Manuela Corti presentiamo una selezione di tre video, Bacchino, Foto di vacanza e d’altrove e Senza titolo, all’interno dei quali l’idea di bellezza appare legata alla gioia di essere in luoghi lontani Foto di vacanza e d’altrove, alla citazione della storia dell’arte Bacchino, alla ricerca della verità Senza titolo.

Foto di vacanza e d’altrove appare come una riflessione kantiana sulla bellezza, dove l’artista in viaggio tra luoghi di memoria e luoghi sconosciuti apporta sul supporto bidimensionale di cartoline segni reali o virtuali del suo passaggio. In Bacchino la composizione mitica caravaggesca viene rivisitata come nel set di un film attraverso immagini plastiche forzatamente aderenti all’originale, tableaux vivant, all’interno del quale la bellezza estetica dell’opera originaria diviene un tramite per arrivare all’ironia. Suspence e fascino alla Hitchcock in Senza titolo, dove la bellezza diviene sinonimo di ricerca di verita’ in chiave cinematografica. Lo spettatore, sempre di un passo dietro la scena, si trova davanti alla porta di una doccia sigillata con nastri adesivi che successivamente si apre come un sipario sulla scena del delitto, a terra solo un braccio, citazione colta da J. L. David nella Morte di Marat.


ISABELLA FALBO, testo critico di presentazione della mostra, A certain form of heaven/Female, a cura di Isabella Falbo, Amnesiac Arts home gallery, Potenza, marzo 2006

 


Ettore Frani elaborando un linguaggio pittorico che reinventa la raffigurazione realistica e la carica di simbologie, in direzione di una dimensione della realtà filtrata dall’anima, indaga il paradosso irrisolvibile dell’isolamento come condizione dell’essere umano e della comunicazione che gli permette il contatto con il mondo. Attraverso la brutalità delle cose Ettore Frani ritrova la bellezza. 

Offuscato dietro un vetro annebbiato dalla polvere - simbolo di separazione - imprigionato dietro una “finestra sul mondo”- tentativo di comunicazione, di contatto, con ciò che lo circonda e lo avvolge - nell’autoritratto Ettore F. l’artista appare nella sua parte muta, nascosta, inafferabile, immerso in una luce crepuscolare ed emergente da uno spazio altro, lucida sintesi dell’antitetico binomio battailleiano isolamento/evasione: “Ogni uomo deve pensare alla possibilità sia di confinarsi nell’isolamento sia di evadere da tale prigione”. Anche nella serie dei frutti, asettiche rappresentazioni di nature morte post litteram, come Limone invaso dalla cocciniglia bianca e rossa degli agrumi, Frani con fare allegorico non idealizza la bellezza ma ne rappresenta la sua trasformazione attraverso la sua caratteristica più terrificante e malinconica, la caducità. 


Giulio Macaione, mediante un repêchage intenzionale del gusto Art Nouveau e una figurazione quasi astratta esclusivamente concentrata sulla figura umana inserita all’interno di atmosfere sensuali di equivoca intimità, nell’opera I breath for you rielabora in chiave estetizzante la tematica russelliana tratta dal testo Locus Solus facendo emergere, all’interno del ciclo cosmico morte-vita, una bellezza dalle ambizioni antinaturalistiche, a disposizione per perpetuare in eterno emozioni erotiche e sensoriali. 


Giuseppe Rado, erede spirituale di Pierre et Gilles, con la creazione del suo “monde parfait” ripulito da qualsiasi imperfezione carnale e popolato da creature femminili dalla bellezza diafana sulle quali proiettare i nostri desideri, sembra convalidare l’affermazione “Non c’è messaggio, ciò che conta è l’immagine” e contribuisce alla crezione di una nuova iconologia della bellezza.


Nella pratica artistica di Cosimo Terlizzi, è la moda, unitamente al “mito del bello” approfondito, rimaneggiato e analizzato all’interno di una poetica che privilegia il corpo, la chiave di lettura che ci conduce all’interno di quella concezione di bellezza che si trasforma rapidamente, inseguita per un po’ dal gusto collettivo per poi sparire. 

Nelle fotografie Damien in ascensore e Irena,  Cosimo Terlizzi ritrae, secondo un registro intenso e ostinato, atteggiamenti e mode del mondo dei giovanissimi, rivelandoci la loro idea di bellezza, fatta di edonismo ed esibizionismo.


Giorgio Bevignani con l’installazione scultorea Pharma ci ripropone l’idea di bellezza naturale inevitabilmente condizionata da quella artificiale. Se, come scrive Ernst Bloch, l’arte è compiuta quando sembra essere natura e la natura a sua volta colpisce quando ha in sé la cultura, Giorgio Bevignani con Pharma riproducendo una sorta di paradiso artificiale sembra rappresentare il concetto di bellezza sublime, in tensione verso l’infinito e il divino.


Massimo Festi attraverso la tecnica della tecnopittura realizza pseudo ritratti che incarnano l’umanità contemporanea creando una sorta di commedia umana della quale diviene interprete sensibile, come i personaggi di Play me e Tre,  icone statiche della bellezza simbolica della nuova società dell’effimero nella quale viviamo.

In Play me, opera dal titolo emblematico, la bionda protagonista sembra rappresentare Elena, la bellezza mascherata della tragedia goethiana del Faust, immagine e modello della bellezza femminile che desta desiderio e passione. Elena-Bellezza che non ha un proprio spazio, un suo dove, che si interroga sulla sua identità, di natura sfingica, che teme il possesso e l’arroganza dell’interpretazione che annulla il mistero.



ISABELLA FALBO, testo critico di presentazione della mostra A certain form of heaven/Male, a cura di Isabella Falbo, Galleria Artsinergy, Bologna, aprile 2007